Cattive nuove sul fronte startup (e investimenti), in Italia.Secondo l’indagine denominata “From Unicorns to reality, a five-country comparison of European Ict Scaleups”, realizzata da Startup Europe Partnership in collaborazione con Pedal Consulting/Ud’Anet e con il centro di ricerca CrEsit dell’Università dell’Insubria, delle 990 realtà “scaleup” e “scaler”– così come vengono designate le startup in grado di raccogliere, rispettivamente, oltre uno e cento milioni di dollari -, analizzate in cinque nazioni dell’Unione, solo il 7% proviene dal nostro Paese.
Il report non contempla gli “unicorni”, vale a dire le aziende private con oltre un miliardo di dollari di valutazione.
Al primo posto della classifica stilata da Sep svetta il Regno Unito, dove nell’ultimo quinquennio le startup sono riuscite a ottenere circa il 50% degli investimenti realizzati da fondi di venture capital o tramite offerte pubbliche iniziali (Ipo).
Si stima che tra le 399 startup britanniche siano stati distribuiti oltre 11 miliardi di dollari.
Al secondo posto dell’elenco ritroviamo la Germania con 208 realtà, seguono la Francia con 205, la Spagna con 106 e infine l’Italia con appena 72 startup.
Le 72 startup del nostro Paese faticano ad attrarre investimenti: in cinque anni hanno ottenuto soltanto quattrocento milioni di dollari di investimenti, 28 volte in meno rispetto al Regno Unito.
La Germania ha ottenuto 6,6 miliardi, la Francia 3,1 miliardi e la Spagna 1,8 miliardi di investimenti (quattro volte in più rispetto all’Italia).
Il report di Sep ha altresì sottolineato come i mercati azionari, le Ipo e i fondi di venture capital giochino un ruolo determinante nella crescita e nel successo delle startup europee.
Il mercato azionario di Londra, ad esempio, ha reso possibile la raccolta di quattro miliardi di dollari di capitali solo tramite Ipo.
Rispetto alle altre tre nazioni chiamate in causa nel rapporto i numeri del mercato azionario italiano restano ancora esigui: le startup nostrane hanno raccolto a Piazza Affari soltanto quaranta milioni di dollari.
Ad ogni modo delle 37 “scaler” identificate – gli ambiti più attivi risultano essere quelli delle soluzioni software (18%) e dell’e-commerce (14%) – 19 aziende risiedono nel Regno Unito, 9 in Germania, 6 in Francia, 3 in Spagna, nessuna in Italia.
A completare il quadro italiano, già desolante, è il Rapporto PMI del Cerved dal quale risulta che le startup italiane sono sempre più piccole e deboli e con più della metà delle probabilità di chiudere i battenti entro tre anni dalla costituzione.
Uno smacco per tanti intraprendenti e laborioso startupper del Belpaese, già contrastati dalla burocrazia e dalla mancanza di risorse economiche e umane.